Fino a non molto tempo fa l’Italia era un
paese agricolo. Intorno al 1920, ove incomincia la mia memoria, la produzione
agricola era misera. I contadini lavoravano la terra con pochi attrezzi e con
l’aiuto degli animali. La loro vita era misera e piena di sacrifici sia che lavorassero a mezzadria, sia che
fossero proprietari del piccolo appezzamento di terra che lavoravano. Ancora
peggiore era la situazione dei braccianti agricoli che, quando andava bene, a
mala pena riuscivano a lavorare 200 giorni all’anno. Quelli che proprio non ce
la facevano più e che avevano qualche parente o conoscente all’estero
prendevano l’amara via dell’emigrazione. Io ricordo ancora alcuni amici dei
miei fratelli che emigrarono in Francia
e non fecero più ritorno.
In seguito, col passare degli anni, con la
caduta del fascismo e grazie alle lotte sindacali ed ai movimenti democratici,
le condizioni di vita dei lavoratori
migliorarono sensibilmente. Tutti i lavoratori, chi più e chi meno,
hanno avuto la possibilità di abbellire le loro case, di dotarle di tutti i
servizi, di avere l’assistenza sanitaria, i servizi scolastici, ecc. Ma questo
non ci può far dimenticare il nostro recente passato, così simile al presente
di tanti popoli che vivono anche vicino a noi e che proprio in questi giorni si
ribellano e pagano col sangue dei loro figli migliori la loro aspirazione alla
libertà, al benessere ed alla dignità.
A Carpi, nel paese in cui io sono nato,
c’erano tante piccole fabbriche che producevano il truciolo per fare i cappelli
di paglia. Le cosiddette paglie non erano altro che sottili strisce di legno
ricavate dai tronchi dei pioppi mediante piallatura. Queste paglie venivano poi
intrecciate a mano a forma di lunghe
strisce e poi cucite per fare cappelli ed altri articoli di uso comune. Questi
lavori venivano fatti a domicilio dalle donne per arrotondare il bilancio
famigliare. La sera, le donne anziane e bambine si riunivano nell’aia o nella
stalla, se faceva freddo, e intrecciavano le paglie.
I cappelli di paglia di Carpi erano
rinomati ed esportati in vari paesi del mondo. Il segreto del successo è presto detto: la materia prima costava poco
e la mano d’opera era sottopagata. Più o meno come succede oggi con i prodotti
che importiamo dal terzo mondo.
Dopo il 1945, finita la guerra il lavoro a
domicilio cambiò. Cominciarono a comparire le macchine da cucire e dopo qualche
anno anche le macchine da maglieria. In quasi tutte le case le donne presero
l’iniziativa di acquistare una macchina a rate, dietro assicurazione di una
fornitura continua di lavoro a domicilio, prima per cucire camicie e successivamente per produrre articoli di
maglieria.
Il lavoro era durissimo perché si
aggiungeva al lavoro quotidiano preesistente e per di più, con l’assillo del
debito contratto si faceva lavorare la macchina 24 ore su 24. Ma questo lavoro
creò benessere, cominciarono a comparire le fabbriche e cominciò anche l’esodo
dalle campagne. Questo processo modificò profondamente anche l’agricoltura. Al
posto delle stalle contadine con una media di dieci mucche a stalla, si
crearono delle fattorie con annessi stalloni con centinaia di mucche e moderni
impianti per la lavorazione della terra. Questo sviluppo industriale ha
certamente creato benessere per tutti gli strati della popolazione, ma non so
quanto possa considerarsi duraturo perché noi abbiamo cervello, ma ci mancano
le materie prime e questo potrebbe diventare un ostacolo al nostro sviluppo.
Sicuramente fino ad ora noi abbiamo potuto godere di enormi benefici da questa
situazione, ma ora siamo di fronte ad una situazione disastrosa che potrebbe
anche diventare catastrofica per la nostra economia.
Spero
che prima o poi il governo, qualche
governo, si preoccupi del futuro di questa nostra Italia e degli italiani,
compresi quelli che insensatamente continuano ad avere fiducia in Berlusconi.
Alle giovani generazioni, che maggiormente
soffrono il disagio di questa situazione, dedico queste mie righe, per
ricordare le difficoltà del passato ed i
lavori di una volta, ma anche le lotte per il lavoro, per il progresso e per i
diritti.
Leone Sacchi Bologna 20/04/2011
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