Prima di iniziare la storia voglio
precisare che, a seguito di un incidente in bicicletta, che mi provocò
l’atrofia del nervo ottico fui esonerato dal servizio di leva e da tutti gli
altri obblighi militari. Malgrado ciò fui costretto a frequentare il servizio
premilitare. Durante la dittatura fascista c’era l’obbligo di fare un servizio
premilitare di addestramento all’uso delle armi, un anno prima del servizio
militare di leva. Normalmente tale servizio premilitare si svolgeva la domenica
mattina, quando quasi nessuno aveva impegni di lavoro. A Carpi, ove io abitavo,
l’addestramento si svolgeva nel parco adiacente alla scuola comunale, che era
noto col nome di “Gioco del pallone”.
Da questo servizio io ero
stato esonerato per il lavoro di casaro, che svolgevo a fianco di mio padre e
che richiedeva la mia presenza anche di domenica. Però avevo l’obbligo di
frequentare un corso serale, che si svolgeva una volta la settimana sui banchi
della scuola comunale. Il lavoro si svolgeva in gran parte sul moschetto.
Quando gli insegnanti davano l’ordine di prelevare i pezzi del moschetto, tutti
correvano per essere i primi ed avere i pezzi principali. Io me ne stavo
seduto. Andavo per ultimo e, siccome i pezzi non erano sufficienti per tutti,
io rimanevo sempre senza ed assistevo al lavoro degli altri.
Queste cose si ripeterono per tutta la
durata del corso premilitare serale. Lo studio che normalmente si faceva
consisteva quindi nell’esaminare i pezzi, montarli e smontarli per poi mettere il
moschetto in posizione di sparo. Dopo un periodo di addestramento, una domenica
mattina ci portarono al poligono di tiro di Cibeno di Carpi, quello diventato
poi tristemente famoso per la fucilazione di 67 prigionieri prelevati dal campo
di concentramento di Fossoli. Lì,
sdraiati, ci facevano prendere la mira per centrare il bersaglio.
Quando giunse il mio turno gli istruttori
constatarono allibiti che io non sapevo ancora mettere il moschetto in
posizione di sparo. Se vollero che io sparassi, fu giocoforza che la posizione
di sparo la mettessero loro. Però li sentii commentare, mentre brontolavano,
che il moschetto era anche difettoso. Quello è stato l’unico colpo di fucile
che ho sparato in vita mia, ma nessuno
ha mai saputo dove sia finito.
Dopo questa esperienza al poligono di tiro
di Cibeno, riprendemmo le solite lezioni sui banchi di scuola fino agli esami
del corso premilitare.
Prima di proseguire il racconto voglio fare
una piccola parentesi per raccontare un fatto di cui ancora oggi vado
orgoglioso. Mio padre era casaro ormai da 35 anni nel caseificio di
Migliarina. Eravamo nel 1935 quando il
presidente del caseificio comunicò a mio padre che, se non prendeva la tessera
del partito fascista, in base alle leggi vigenti, erano costretti a
licenziarlo. Dopo un consiglio di famiglia, mio padre rispose che non avremmo
mai preso la tessera fascista. Di quella decisione presa allora vado ancora
orgoglioso.
La domenica prima degli esami ci radunarono nel
piazzale all’interno del palazzo dei Pio. Il podestà di Carpi ci tenne un
discorso di esaltazione del fascismo, dicendo che per noi era l’ultima
possibilità di avere l’onore della tessera del fascio. Poi distribuirono dei
moduli di adesione al Partito Nazionale Fascista, che dovevamo compilare e
consegnare la domenica successiva all’atto dell’esame. Io rifiutai il modulo
dicendo che quando avessi deciso di iscrivermi avrei saputo a chi rivolgermi.
Gli esami si tennero il 17 gennaio del 1931
nella caserma della Milizia Volontaria Nazionale, che aveva sede all’interno
del castello dei Pio. Io mi ero portato una lettera di raccomandazione del
parroco di Mandrio di Correggio (RE), nella quale si sollecitavano gli esami
perché ero impegnato a suonare nella chiesa in occasione della sagra del paese.
E così fui il primo ad essere esaminato.
Appena entrato mi diedero in mano un moschetto
e mi ordinarono di mettermi in posizione di sparo. Io presi il moschetto e feci
del mio meglio per prendere la mira. Bestia, mi sentii dire, non vedi che c’è
ancora la sicura? E, come era successo
la prima volta, toccò agli esaminatori di togliere la sicura. Però, malgrado
tutto, dopo alcune domande, di cui non ricordo nulla, fui promosso a pieni voti
e, senza ulteriori difficoltà, potei recarmi a suonare in chiesa.
Purtroppo non fu altrettanto facile per gli
altri giovani che sostennero l’esame dopo di me. Molti presentarono il modulo
di iscrizione con una dichiarazione dei genitori che asserivano di non volere
che i loro figli prendessero la tessera. Tutti furono costretti a prenderla pena la
minaccia di arresto dei genitori.
Così il 17 gennaio del 1931
ebbe fine la pagliacciata della premilitare, alla quale ero stato costretto a
prendere parte.
Sacchi Leone Bo. 21/02/2005
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