venerdì 15 agosto 2014

2014-08-13 NELLA RICORRENZA DELLA GUERRA 15-18
UN DELITTO CONTRO L’UMUNITA’
    Nel centenario della guerra 15-18, vorrei fare una piccola introduzione all’argomento.
L’Italia era un paese povero, in prevalenza agricolo, privo di meccanizzazione nel quale tutti i lavori venivano svolti manualmente o con l’aiuto degli animali. L’aratro veniva trainato dai buoi, la terra frantumata con le zappe a forza di braccia, la vite irrorata col verderame con le pompe a mano. I poderi erano per la maggior parte condotti a mezzadria da famiglie numerosissime che dovevano dividere i prodotti del loro lavoro al 50% con il proprietario del terreno. I braccianti agricoli lavoravano al massimo 200 giorni all’anno e col magro stipendio facevano fatica a sbarcare il lunario.
       Queste erano le condizioni in cui si trovava il nostro paese quando il re, come comandante in capo dell’esercito, assecondato da un governo ed una classe dirigente compiacenti, firmò l’entrata in guerra. L’Italia non aveva nessun serio motivo per entrare in guerra. Si adduceva come pretesto la liberazione di Trento e Trieste, come se la guerra fosse l’unica via per ottenerla.
    Questa guerra non voluta dal popolo italiano è costata circa 700.000 giovani vite, tantissimi feriti e mutilati e tante sofferenze e distruzioni. A guerra finita le famiglie piangevano i loro morti e l’Italia era ancora più povera per i debiti contratti per far fronte alle spese militari.
      Durante la guerra i soldati erano stati costretti a scavare delle trincee e delle gallerie sulle montagne per proteggersi dagli assalti nemici. Erano dotati di fucili a baionetta per gli scontri corpo a corpo. Quando uscivano dalle trincee e cominciavano questi scontri, ogni soldato sapeva di poter essere ucciso o di rimanere gravemente ferito. Quello che gli rimaneva ignoto era il motivo per il quale doveva uccidere per non essere ucciso.
Ci furono casi di ammutinamento sia collettivo che individuale, ai quali  i comandanti risposero con i plotoni di esecuzione e con le decimazioni. I soldati dei battaglioni che non avevano rispettato gli ordini venivano messi in fila e cominciava la conta. Uno ogni dieci veniva fucilato. Qualcuno, anche fra gli ufficiali, per non uccidere, andò all’attacco senza armi e fu colpito a morte. Qualcun altro più fortunato trovò qualche ufficiale medico che per non mandarlo alla fucilazione fece carte false per rimandarlo a casa. Altri disertarono e si diedero a forme di banditismo che proseguirono anche per vari anni a guerra finita.
      La guerra 15-18 io l’ho vissuta da bambino e ricordo soprattutto il rientro dei militari che in massa ritornavano ai loro paesi di origine e ricordo ancora le storie delle bande degli sbandati e dei disertori che scorazzavano  anche nelle campagne anche del carpigiano.
      Oggi, a cento anni da quegli avvenimenti, ho voluto descrivere tutti gli orrori che quella guerra ha provocato e la cui responsabilità ricade unicamente sul re e sulle classi dominanti del nostro paese, nella speranza che queste riflessioni siano di monito alle nuove generazioni.
      Le guerre sono sempre e soltanto utili a chi produce armi e si arricchisce sulle miserie altrui e sulle distruzioni di beni materiali. Per il popolo invece le guerre sono soltanto fonti di morti, distruzioni e miseria.

leonesacchi.blogspot.it                           13/08/2014

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